Un diario senza età: “L’evento” di Annie Ernaux

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Quando un testo si fa leggere in un’ora, o forse meno, solo la sua densità potrà essere direttamente proporzionale alla capacità di insinuarsi in te, di continuare a vibrare ed echeggiare anche una volta chiuso e riposto nella libreria di casa. È un qualcosa che può accadere solo con un testo puro, essenziale, che non si perde in sensazionalismi e in giri di parole superflui, che non va a fare passeggiatine inutili in attesa che nella storia accada qualcosa.

E questo è L’evento di Annie Ernaux, edito da L’Orma Editore e tradotto da Lorenzo Flabbi, perché in esso c’è tutto, facendoti provare la sensazione che non gli manchi proprio nulla. C’è la densità, c’è il dialogo con il lettore, c’è la memoria, c’è l’attualità, c’è il messaggio, c’è l’emotività. E non quella emotività ricercata intarsiando metafore complesse, immagini potenti e sfavillanti. No, l’anima e la psiche della protagonista affiorano cristalline senza bisogno di luci artificiali. Potremmo dire che si tratta di un testo naturale e necessario come l’acqua, che sgorga spontaneo e altrettanto spontaneamente entra nel lettore.

Ci troviamo in Francia e la nostra autrice inizia a raccontarci di un fatto avvenuto in un tempo non molto lontano: l’attesa dei risultati del suo test HIV. Il tesissimo stato d’animo provato in quegli istanti la riporta indietro di anni, al 1963, a quando si sentì immersa nello stesso orrore, nella stessa incredulità: aveva vent’anni, era rimasta incinta e prese la decisione di abortire, in un Paese in cui l’aborto era illegale e nemmeno la parola “aveva posto nel linguaggio”. È così che ci ritroviamo al suo fianco e a seguirla, passo dopo passo, in questa battaglia personale fatta di affanno e attese che la porta a imbattersi nel giudizio altrui, in medici che non intendono avere a che fare con lei, in sguardi taglienti e diffidenti, in ragazzi “sedotti” dalla sua volontà di abortire. Con la latente sensazione che quel passato non è mai veramente passato. E lei ce lo schiaffa addosso, come ad urlare “Sveglia!”.

Annie Ernaux lo fa con una scrittura analitica, che non lascia andare alcun dettaglio, perché questa è la sua fiera testimonianza. È una autobiografia scritta a distanza di trent’anni dal suo “evento”, ma che è stato anche quello di migliaia di altre donne prima e dopo di lei. E infatti la sua disperata ricerca di una via clandestina per abortire non rappresenta solo uno spartiacque nella sua esistenza, ma è emblema di una società che pare superata da tempo, quando invece può cambiare marcia in ogni istante, ingranare la quinta e superare quella di oggi.

Il suo, quindi, diventa un diario senza tempo, che parla di ieri per ricordarci che può trasformarsi in oggi, perché solo la scrittura è in grado di riportare a galla storie altrimenti inghiottite dal silenzio. Ed è così che vediamo l’autrice quasi dialogare con la memoria, con la sua scrittura, trasformando quest’ultima in una sorta di entità.

Come lei stessa scrive:

Ho finito di mettere in parole quella che mi pare un’esperienza umana totale, della vita e della morte, del tempo, della morale, e del divieto, della legge, un’esperienza vissuta dall’inizio alla fine attraverso il corpo. E forse il vero scopo della vita è soltanto questo: che il mio corpo, le mie sensazioni e i miei pensieri diventino scrittura, qualcosa di intellegibile e di generale, la mia esistenza completamente dissolta nella testa e nella vita degli altri.

Il suo essere chirurgica serve a lei per reimmergersi in quel passato riuscendo persino a toccarlo, riprovando tutto; e serve a noi, per conferirgli ulteriore verità e concretezza. È una scrittura materiale e pulsante, vivissima e a tratti febbricitante. A ciò contribuisce anche quella prosa scarna e asciutta fino al midollo che della Ernaux è così nota, con buona pace delle impalcature di subordinate dalle quali prima o poi un lettore poco accorto farà un bel capitombolo a terra. Le frasi della Ernaux, invece, sono paragonabili a battute brevi e incisive in uno spartito pulito e stringato di note, senza sbavature. Ogni sensazione affiora potentissima, talvolta spietatamente, talaltra teneramente. Ci sono molti, moltissimi momenti nei quali sembra sgorgare sangue dalle pagine, ne riusciamo quasi a sentire l’odore ferroso; e ce ne sono molti altri in cui ti verrebbe solo di stringere a te quella piccola Annie, dirle che andrà tutto bene, farle una carezza.

L’autrice, infatti, sa gettare emozioni chiudendole tra un punto e l’altro vicinissimi tra loro, ma che sanno espandersi, andare oltre i confini della singola proposizione e investirci con un’onda improvvisa. Perché accompagnarla fino alla porta della “fabbricante di angeli”, trovata dopo lunghe ricerche, e scoprire che consegnerà se stessa a una donna in grembiule e pantofole a pois, con uno strofinaccio in mano, non può che stringere un nodo allo stomaco. Lo stesso accade seguendo i fatti e i pensieri prima e dopo l’evento; quando si rivolge al feto con crudezza, come una presenza ingombrante da estirpare il prima possibile (“Mi estenuavo per ucciderlo sotto di me”); quando l’evento ha luogo e ne viene riportato ogni attimo, pieno di sangue, orrore, spavento, tanto da farci chiudere gli occhi quando invece li dobbiamo tenere ben spalancati. Ma come afferma lei stessa:

Può darsi che un racconto come questo provochi irritazione o repulsione (…). Aver vissuto una cosa, qualsiasi cosa, conferisce il diritto inalienabile di scriverla. Non ci sono verità inferiori. E se non andassi fino in fondo nel riferire questa esperienza contribuirei a oscurare la realtà delle donne, schierandomi dalla parte della dominazione maschile del mondo.

Come non essere d’accordo.

In quelle scene, infatti, il ritmo ci fa affannare. Corre, corre, ma resta addosso, attaccato alla pelle. Perché solo all’apparenza, grazie alle sue poche pagine e alla sua scorrevolezza, si tratta di un testo lieve, che si posa piano sul lettore: in realtà ha il peso del marmo che, con poche ed essenziali parole, ci schiaccia.

È il marmo della lapide eretta ai diritti delle donne, sempre in bilico tra il progredire e il retrocedere, tra la levità della rivoluzione e la pesantezza della restaurazione.

Con la terrificante consapevolezza che sia già troppo tardi e che questa restaurazione si sia già piantata nel nostro oggi. E non serve guardare oltre Oceano.


Dal libro autobiografico di Annie Ernaux è stato tratto il film La scelta di Anne – L’Événement diretto da Audrey Diwan e che nel 2021 è stato decretato come “Miglior Film” sia alla Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia sia al Premio Lumière.

Dalla quarta di copertina de L’evento:

Annie Ernaux è nata a Lillebonne (Senna Marittima) nel 1940 ed è una delle voci più autorevoli del panorama culturale francese. Studiata e pubblicata in tutto il mondo, la sua opera è stata consacrata dall’editore Gallimard, che ne ha raccolto gli scritti principali in un unico volume nella prestigiosa collana Quarto. Nei suoi libri ha reinventato i modi e le possibilità dell’autobiografia, trasformando il racconto della propria vita in acuminato strumento di indagine sociale, politica ed esistenziale. Considerata un classico contemporaneo, è amata da generazioni di lettori e studenti. Finora L’orma editore ha pubblicato Il postoGli anni, vincitore del Premio Strega Europeo 2016, L’altra figliaMemoria di ragazzaUna donna, vincitore del Premio Gregor von Rezzori 2019, La vergognaL’evento e La donna gelata.

Alessandra Toni

Ciao, sono Alessandra, ma chiamami Ale. Sono una redattrice editoriale, da sempre appassionata di storie e parole. Per anni ho scritto di web writing e comunicazione, oggi parlo di libri ed editoria con il nuovo percorso WeBook Road.

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